V domenica di Quaresima

 

Parola di Dio
Ez 37,12-14 Farò entrare in voi il mio spirito e rivivrete.
Sal 129 Il Signore è bontà e misericordia.
Rm 8,8-11 Lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi.
Canto al Vangelo (Gv 11,25a-26) Io sono la resurrezione e la vita, dice il Signore, chi crede in me non morirà in eterno.
Gv 11,1-45 Io sono la risurrezione e la vita.

Venire fuori
Dopo aver proposto la meditazione di alcuni aspetti problematici con cui ogni uomo e ogni donna devono fare i conti nel corso della vita (il cuore che è tentato e ha sete, gli occhi che sfiorano la superficie delle cose ma non vedono), la liturgia di questa domenica fa venire fuori il grande problema dell’esistenza umana – la morte – e la grande risposta di Dio – la risurrezione – al nostro grido di salvezza.

Solo Dio
Il comportamento di Gesù nel vangelo di Giovanni appare decisamente misterioso, come tutti i commentatori antichi e moderni hanno sempre rilevato. Quando viene a sapere che il suo amico Lazzaro «è malato» (Gv 11,3) decide di non far nulla, se non aspettare «per due giorni nel luogo dove si trovava» (Gv 11,6). Non appare immediatamente ragionevole né misericordioso un simile modo di porsi di fronte all’esperienza della sofferenza e della morte, anche perché — come scrive l’evangelista — «Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro» (Gv 11,5). Il motivo per cui Gesù si limita ad affermare che «questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio» (Gv 11,4), rimanendo però inerte e passivo, non può essere altro che il tentativo di rivelare come la capacità di dare e restituire la vita sia una prerogativa di Dio, come già affermavano i profeti: «Ecco, io apro i vostri sepolcri, vi faccio uscire dalle vostre tombe, o popolo mio, e vi riconduco nella terra d’Israele» (Ez 37,12). La voce di Ezechiele profeta, che condivide con il popolo l’esperienza amara dell’esilio, crea uno sfondo molto ricco per cogliere tutta la portata del vangelo di Lazzaro. È proprio nel tempo della lontananza dalla terra che Israele si interroga sull’affidabilità di Dio alle sue promesse e arriva a maturare la grande speranza di poter riconoscere nuovamente il Signore non solo per i prodigi del passato, ma anche per la sconfitta di ogni morte presente e futura: «Riconoscerete che io sono il Signore, quando aprirò le vostre tombe e vi farò uscire dai vostri sepolcri, o popolo mio» (Ez 37,14).

Solo la risurrezione
Nel racconto evangelico, tuttavia, Gesù non rimane del tutto immobile. Quando viene a sapere che l’amico Lazzaro è ormai «morto» (Gv 11,14) ed è «già da quattro giorni nel sepolcro» (Gv 11,17), dopo aver atteso il tempo sufficiente a far maturare il disegno di Dio, Gesù si mette in cammino verso Betania. Appena la sorella di Lazzaro, Marta, viene a sapere che «veniva Gesù», gli va incontro e gli dice: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!» (Gv 11,21), manifestando quel pensiero che, fin dal tempo dell’esilio, esprime la sensibilità religiosa di Israele verso Dio. Pur non essendo uno schema rigido e regolare all’interno dei testi biblici, l’idea che la presenza di Dio nella vita di qualcuno non possa che manifestarsi come benedizione e prosperità percorre larga parte dei libri dell’Antico Testamento, diventando un vero e proprio criterio di lettura della realtà. Il modo di ragionare di Marta appare segnato dall’appartenenza a questa prospettiva religiosa, secondo cui la presenza di Dio è incompatibile con l’esperienza della morte. Anche noi cristiani non siamo del tutto estranei a questo modo di ragionare. Pur sapendo bene che ogni uomo «risorgerà nell’ultimo giorno» (Gv 11,24), dobbiamo sempre fare un cammino per comprendere come la speranza escatologica annunciata dai profeti si sia già realizzata in Cristo: chi «vive» e «crede» in Cristo, fin d’ora «anche se muore, vivrà» (Gv 11,25).

Solo il peccato
Naturalmente esiste una certa verità nel pensare che Dio e la morte non possano essere compatibili. Tuttavia è altrettanto vero che secondo la Scrittura ciò che maggiormente getta tenebre nel cuore dell’uomo è il valore simbolico della morte, come interruzione definitiva dell’alleanza con Dio. Questa tenebra, invisibile e potente, è il motore di quel filo rosso della storia umana che la Bibbia chiama peccato. San Paolo non esita a formulare una precisa diagnosi di questa situazione, parlando al cuore dei primi cristiani: «Il vostro corpo è morto per il peccato» (Rm 8,10). Subito, però, afferma che questo colore nero di fondo è come il sepolcro di cui già parlava Ezechiele e davanti a cui irrompe la voce di Gesù, cioè il luogo in cui si può manifestare la signoria dello Spirito Santo: «Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito» (Rm 8,9). Aspettando un tempo prima di liberare il popolo dall’angoscia dell’esilio, e prima di far tornare alla vita il povero Lazzaro, Dio non ha voluto manifestare la necessità del peccato come colore di fondo per mettere in risalto la sua bontà. Al contrario, in una storia tutta segnata e condizionata dalla tenebra del peccato, il mistero della sua bontà incondizionata risplende ovunque, ma brilla addirittura sullo sfondo del nostro peccato.

Solo l’amore
Giunto di fronte alla tomba di Lazzaro, Gesù scoppia «in pianto» (Gv 11,35), perché «amava» (Gv 11,36) l’amico sprofondato nel sonno della morte. Questa esplosione emotiva, che Gesù vive proprio nel regno della morte per antonomasia – la tomba –,  illumina tutta la prima parte del vangelo, soprattutto quel misterioso ritardo con cui egli si è messo in cammino verso Lazzaro. Rivela, infatti, che Dio, anche quando agisce con tempi e modi assai diversi dalle nostre aspettative, lo fa unicamente per poterci comunicare la vita eterna non solo come eliminazione, ma come ripristino di quei vincoli spezzati violentemente dal peccato: «Lazzaro, vieni fuori!» (Gv 11,43). Lazzaro non risorge, ma è –letteralmente – chiamato di nuovo alla vita, proprio nel luogo dove la vita è – letteralmente – smentita, il sepolcro. Giovanni non si sofferma a descrivere il miracolo, per non depistare il lettore del suo vangelo dalla vera posta in gioco contenuta in questo episodio: il potere di Gesù di dare la sua vita per ogni uomo. La restituzione alla vita di Lazzaro non è dunque una prova della risurrezione di Cristo – peraltro non ancora avvenuta – ma l’ultimo segno per credere che Dio ha mandato il suo Figlio perché noi potessimo avere vita in abbondanza, vita eterna. Tutto ciò orienta il cammino quaresimale verso una comprensione del mistero di risurrezione non solo come un destino assai desiderabile, ma piuttosto come la condivisione di una relazione d’amore che Dio non ha voluto trattenere per sé, ma offrire a tutti come spazio ed esperienza di vita: «E se lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi» (Rm 8,11).