DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA Capitolo 6. Il lavoro umano

Proseguiamo la pubblicazione di brani tratti dalla Dottrina sociale della Chiesa inerenti il tema del lavoro.

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DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA

Capitolo 6. Il lavoro umano

271 La soggettività conferisce al lavoro la sua peculiare dignità, che impedisce di considerarlo come una semplice merce o un elemento impersonale dell’organizzazione produttiva. Il lavoro, indipendentemente dal suo minore o maggiore valore oggettivo, è espressione essenziale della persona, è «actus personae». Qualsiasi forma di materialismo e di economicismo che tentasse di ridurre il lavoratore a mero strumento di produzione, a semplice forza-lavoro, a valore esclusivamente materiale, finirebbe per snaturare irrimediabilmente l’essenza del lavoro, privandolo della sua finalità più nobile e profondamente umana. La persona è il metro della dignità del lavoro: «Non c’è, infatti, alcun dubbio che il lavoro umano abbia un suo valore etico, il quale senza mezzi termini e direttamente rimane legato al fatto che colui che lo compie è una persona».

276 Il lavoro, per il suo carattere soggettivo o personale, è superiore ad ogni altro fattore di produzione: questo principio vale, in particolare, rispetto al capitale. Oggi, il termine «capitale» ha diverse accezioni: talvolta indica i mezzi materiali di produzione nell’impresa, talvolta le risorse finanziarie impegnate in un’iniziativa produttiva o anche in operazioni nei mercati borsistici. Si parla anche, in modo non del tutto appropriato, di «capitale umano», per significare le risorse umane, cioè gli uomini stessi, in quanto capaci di sforzo lavorativo, di conoscenza, di creatività, di intuizione delle esigenze dei propri simili, di intesa reciproca in quanto membri di un’organizzazione. Ci si riferisce al «capitale sociale» quando si vuole indicare la capacità di collaborazione di una collettività, frutto dell’investimento in legami fiduciari reciproci. Questa molteplicità di significati offre spunti ulteriori per riflettere su cosa possa significare, oggi, il rapporto tra lavoro e capitale.

277 La dottrina sociale ha affrontato i rapporti tra lavoro e capitale, mettendo in evidenza sia la priorità del primo sul secondo, sia la loro complementarità.
Il lavoro ha una priorità intrinseca rispetto al capitale: «Questo principio riguarda direttamente il processo stesso di produzione, in rapporto al quale il lavoro è sempre una causa efficiente primaria, mentre il “capitale” essendo l’insieme dei mezzi di produzione, rimane solo uno strumento o la causa strumentale. Questo principio è verità evidente che risulta da tutta l’esperienza storica dell’uomo». Esso «appartiene al patrimonio stabile della dottrina della Chiesa».
Tra lavoro e capitale ci deve essere complementarità: è la stessa logica intrinseca al processo produttivo a dimostrare la necessità della loro reciproca compenetrazione e l’urgenza di dare vita a sistemi economici nei quali l’antinomia tra lavoro e capitale venga superata. In tempi in cui, all’interno di un sistema economico meno complesso, il «capitale» e il «lavoro salariato» identificavano con una certa precisione non solo due fattori produttivi, ma anche e soprattutto due concrete classi sociali, la Chiesa affermava che entrambi sono in sé legittimi: «né il capitale può stare senza il lavoro, né il lavoro senza il capitale». Si tratta di una verità che vale anche per il presente, perché «è del tutto falso ascrivere o al solo capitale o al solo lavoro ciò che si ottiene con l’opera unita dell’uno e dell’altro; ed è affatto ingiusto che l’uno arroghi a sé quel che si fa, negando l’efficacia dell’altro».

278 Nella considerazione dei rapporti tra lavoro e capitale, soprattutto di fronte alle imponenti trasformazioni dei nostri tempi, si deve ritenere che la «principale risorsa» e il «fattore decisivo» in mano all’uomo è l’uomo stesso, e che «l’integrale sviluppo della persona umana nel lavoro non contraddice, ma piuttosto favorisce la maggiore produttività ed efficacia del lavoro stesso». Il mondo del lavoro, infatti, sta scoprendo sempre di più che il valore del «capitale umano» trova espressione nelle conoscenze dei lavoratori, nella loro disponibilità a tessere relazioni, nella creatività, nell’imprenditorialità di se stessi, nella capacità di affrontare consapevolmente il nuovo, di lavorare insieme e di saper perseguire obiettivi comuni. Si tratta di qualità prettamente personali, che appartengono al soggetto del lavoro più che agli aspetti oggettivi, tecnici, operativi del lavoro stesso. Tutto questo comporta una prospettiva nuova nei rapporti tra lavoro e capitale: si può affermare che, contrariamente a quanto accadeva nella vecchia organizzazione del lavoro dove il soggetto finiva per venire appiattito sull’oggetto, sulla macchina, al giorno d’oggi la dimensione soggettiva del lavoro tende ad essere più decisiva e importante di quella oggettiva.