1 maggio: “Per una rivoluzione della dignità umana” La crisi del lavoro tra devastazioni e opportunità

 

lavoro di Renato Di Nubila*

La parola crisi rimane sempre un termine tentacolare e a forte ambiguità: nel senso negativo di devastazione ed in quello potenzialmente positivo di “opportunità”. Spesso ci fermiamo solo agli aspetti più clamorosamente negativi in questo momento, come quelli economici, finanziari, politici, sociali, trascurando nel volto multiforme della crisi, gli aspetti umani, personali, antropologici. Davanti alla drammaticità di tante situazioni – in quella della disoccupazione in particolare – la crisi offre all’uomo solo due vie d’uscita: il tramonto rassegnato, impotente, disperato,  oppure la “reazione eroica” della ragione e della dignità. Il dramma di tante famiglie, il gesto disperato di tante persone, l’insensibilità indifferente che spesso ci circonda, potrebbe sembrare l’unica via percorribile. Eppure  mai come in questo momento e per una crisi che non ha precedenti, la forza e la “ribellione” dell’uomo potrebbe fare la differenza, nella forma civile di una “rivoluzione della dignità umana” per evitare che la crisi ci impedisca di  tornare ad essere uomini. Immagino come sia difficile far condividere questa “ribellione” a chi ha perso il lavoro, al giovane che ancora non l’ha visto , alla famiglia che non trova più il modo come sopravvivere. E’ persino difficile  pensare al domani, è umiliante sentirsi inattivo, è disumano sentirsi inutile. Proprio perché “tutta la grandezza del lavoro è dentro l’uomo”,   scriveva Giovanni Paolo II,  ed è dentro l’uomo che dobbiamo cercare la forza di reagire, di sperare, di solidarizzare, di non rimanere soli, di credere legittimo il pensare che sia possibile trovare il modo  per uscire da tanta tristezza.foto

Al lavoratore cristiano non può mancare questa forza di reazione per cercare in tutti i modi di cogliere le “opportunità” che la crisi  pur comporta e dalla quale dobbiamo imparare qualcosa. In qualche modo possiamo andare “ a lezione dalla crisi”, sviluppando energie  ancora possibili, imparando ad affrontare  forti cambiamenti  di stile, di abitudini, di modelli di sviluppo economico, di vita lavorativa anche in forme nuove tutte da inventare, di modi di guardare al presente e al futuro…anche quando il futuro, specialmente per i giovani, appare sempre più minaccia che  speranza. Si tratta di imparare a guardare  con realismo a questa società sempre più complessa (come intreccio di situazioni diverse, positive e negative), per non viverla solamente come complicata (fatta  di angoscia, di malessere, di chiusura ad ogni prospettiva). Sono parole che rischiano di non sembrare attuali, eppure a pensarci bene , vorrebbero esprimere la visione e la forza di una speranza possibile, senza di che l’uomo non ha più orizzonti. Solo la forza della buona “utopia”, (come “capacità concreta di stare con i piedi per terra e lo sguardo in avanti” diceva Giorgio La Pira) può salvare ed ha salvato spesso l’uomo dalle catastrofi materiali e sociali. “Il lavoro è umano solo se resta intelligente e libero”, ci ricordava Paolo VI. Ci sono risorse dell’uomo che in questi frangenti devono poter  aprire una via d’uscita: gli affetti, le emozioni, la ragione, le competenze che possediamo, l’inventiva, la voglia di successo, la nostra  dignità, l’ottimismo della volontà a farci credere che “si può…”. Se a questo poi si aggiunge la determinazione a non rimanere soli, per imparare ad essere e a fare “insieme”, allora la speranza cristiana mette in modo la forza della solidarietà. Mai come in questo momento un’Associazione Cristiana, come la nostra, potrebbe dare un senso più profondo alla festa del lavoro, se non concretizzando  messaggi e gesti di solidarietà. E questo è vero per i lavoratori, ma anche per le aziende che stanno vivendo reali e drammatici momenti nelle loro organizzazioni. E’ urgente anche per esse far ricorso al DNA dell’impresa, come la quotidiana fatica dell’intraprendere, come la cultura del rischio e la forza di generare ricchezza e risorse, sempre nella  consapevolezza che le aziende rinascono dalle persone; non dimentichiamo che “Cada persona es un mundo!”, secondo Papa Francesco. Il rischio – lo sanno bene le aziende – è figlio di questa modernità e l’impresa convive con il rischio di tutti i giorni. Di conseguenza, in tempi di crisi l’imprenditore avverta l’urgenza di tornare a guardare ai suoi dipendenti, alle persone che lavorano, come si guarda alle  risorse più preziose; ma anche i dipendenti tornino a pensare alla propria azienda come al luogo della propria realizzazione e del contributo che danno alla creazione di ricchezza. Opportunamente all’ingresso di un’azienda nel mesi scorsi si leggeva: ”Più che lamentarti dell’azienda…cambiala in meglio “. Potrebbe essere questo il segno più profondo di una crisi che ci travolge, esprimendo nei modi più diversi una solidarietà che si trasformi  in “reciprocità esigente”, che  sappia giungere persino  ad avvertire “il diritto…di sentirsi in dovere” di far propria la sorte  di quanti ci stanno vicini. Non potrebbe essere proprio questa la strada  per aiutare molti a superare il senso di vergogna di un fallimento, come marchio d’infamia e ricominciare da zero…come già fanno alcuni? Un’attenzione particolare va riservata ai giovani in questo primo maggio. Che la loro situazione diventi una priorità per il Paese, come segnale di presidio urgente. Si trovino  i mezzi più disparati per far pronte ad una emergenza drammatica (incentivi come sussidio all’occupazione, o un credito d’imposta, o un salario minimo, sbloccando la domanda delle imprese con facilitazione nell’accesso al credito…). Ai giovani però è importante raccomandare di non sottovalutare il valore dello studio che, nel tempo, comunque ripaga sempre e dà energia per intraprendere forme nuove di lavoro, per entrare nella vita di lavoro accettandone anche i limiti e le difficoltà. Che oggi più di ieri occorrono “teste ben fatte” per stare nei nuovi assetti dell’organizzazione del lavoro e non fai trascinare alla insidiosa obiezione: Ma vale la pena studiare?. Allora la festa del lavoro, quest’anno potrebbe ancora avere  un sua giustificazione in un Paese “fondato sul lavoro” e che non vuole vedersi travolto  dalla mancanza di lavoro. Viene spontaneo qui ricordare un vecchio detto dei pescatori olandesi: “Quando il mare è in tempesta ed il vento si fa minaccioso, c’è chi erge dighe e chi invece costruisce mulini a vento!”. Così nelle crisi: c’è chi solo si difende e chi invece genera energia nuova. Il lavoro torni a generare buone energie: è l’augurio a tutti per il 1° maggio.

*Aclista, docente ordinario di Metodologia della Formazione e di Comportamento organizzativo Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia, Psicologia Applicata (FISPPA) dell’Università di Padova.