DA NOVAFELTRIA A BOSE, il racconto del convegno di febbraio

Si è svolto dal 10 al 12 febbraio scorso, presso il Monastero di Bose, l’incontro nazionale di spiritualità delle Acli.

Dal Circolo di Novafeltria tre persone hanno partecipato a questo importante momento di studio, intitolato “L’Alleanza. Esperienza di amicizia con Dio e di fraternità fra gli uomini”.

Di seguito il loro racconto.

 

 

  1. Il contesto: perché il convegno nazionale delle ACLI in questo monastero
  2. Le relazioni: il filo conduttore è: l’Alleanza come esperienza di amicizia con Dio e di fraternità fra gli uomini
  3. Le conclusioni: Le sollecitazioni di Bianchi che conosce le ACLI dall’inizio e le conclusioni di Rossini.

 

Bose si trova in Piemonte, in provincia di Biella ed è un monastero interconfessionale fondato da Enzo Bianchi l’8 dicembre nel 1965, giorno in cui si chiudeva il Concilio Vaticano II, e da allora promuove un intenso dialogo ecumenico tra le chiese diverse. La comunità vive la propria vocazione monastica nel celibato, nella comunione fraterna dei beni e nell’obbedienza al Vangelo. Oggi si è molto ampliato, la comunità è composta da circa 85 tra monaci e monache, alcuni dei quali protestanti e ortodossi, hanno aperto anche altre fraternità a Ostuni, Roma, Assisi, Siena e hanno un fratello a Gerusalemme.

Questo monastero si trova a ridosso dei monti della valle d’Aosta e dista da Rimini circa 450 Km, questa trasferta è stato l’aspetto più scomodo.

Il tema del Convegno era l’Alleanza come esperienza di amicizia con Dio e di fraternità fra gli uomini: i relatori hanno affrontato la tematica da più punti di vista e con alta competenza.

Rosanna Virgili, da biblista, ha affrontato il tema dell’Alleanza con Dio che diventa anche motore per un’autentica amicizia fra gli uomini, la relatrice ha affrontato il tema con costanti riferimenti all’Antico e al Nuovo Testamento.

Don Giovanni Nicolini di Bologna ha testimoniato la sua esperienza e ci ha descritto quali alleanze egli ha costruito nella sua vita di prete e di cittadino, incontrando coppie, bambini, poveri…

Il filosofo Silvano Petrosino, docente all’Università Cattolica di Milano, ci ha aiutato a riflettere su come è difficile stringere alleanze nel vivere quotidiano, perché interagire con l’altro è complesso e richiede un continuo sforzo.

Enzo Bianchi, che conosce bene le ACLI fin dalla sua fondazione, ha delineato lo stile relazionale di Gesù quale modello di ogni uomo e di ogni credente.

Dopo i lavori di gruppo del sabato pomeriggio, abbiamo avuto modo di seguire una meditazione teatrale dell’attrice Lucilla Giagnoni sulla “Pacem in Terris”, un’enciclica di Giovanni XXIII, che l’attrice ha contestualizzato inserendola nei tormentati anni ’60 e poi l’ha attualizzata ponendoci molti interrogativi sulla serietà della pace.

Le relazioni sono state molto intense e qui possiamo solo dirvi alcune ide che ci hanno colpito, tutte hanno rimarcato l’importanza dell’alleanza sottolineando che ogni persona deve essere consapevole che fare alleanza, pur essendo faticoso, è indispensabile, perché è una questione vitale, in quanto abitare nel mondo richiede relazionarsi  con gli altri.

Ogni relatore ha declinato in modo diverso questo argomento: la Virgili, biblista, ha parlato di una Alleanza necessaria, secondo le indicazioni dell’Antico e Nuovo Testamento; Nicolini ha tradotto in pratica il termine Alleanza con il termine amore, un amore ricevuto da dare in maniera  gratuita e non moralistica; Petrosino, il filosofo, ha messo a fuoco che cosa è una leale esperienza di alterità, una alterità non ideale, non carina, non proiettiva secondo la nostra misura, ma una alterità quindi che ci destabilizza.

Tutti i relatori hanno parlato dell’importanza dell’alleanza sottolineando però anche le derive cioè le difficoltà, la Virgili ha descritto le patologie tra cui la gelosia, l’invidia, l’egocentrismo come sono vissute dagli stessi personaggi biblici.

Nicolini ci ha presentato una visione un po’ più risolta delle difficoltà nelle relazioni perché, essendo una persona ormai anziana, ha fatto della sua lunga esperienza non un motivo di “rinchiudimento” ma una occasione costante di relazioni sempre nuove e diverse, per cui descrivendoci la sua vita ci ha dato quasi l’impressione di una enorme facilità nell’attivare incontri per vedere in essi possibilità nuove.

Petrosino ci ha fatto avvertire il contrario con una certa chiarezza anche provocatoria, dicendoci che fare alleanza non è né scontato, né istintivo, ma una scelta difficile. Il filosofo ci ha tolto dunque l’illusione che possiamo diventare improvvisamente buoni e capaci di fare alleanza con tutti, capaci di recepire, di rispettare e di custodire l’alterità.

L’alleanza non è quindi come ce la raccontiamo nei nostri momenti migliori, ma abbiamo forti difficoltà nel realizzarla e possiamo solo rimuovere queste difficoltà e far finta di mettere in atto sempre la parte migliore di noi, che però questa è una parte estremamente parziale che non regge con la storia. Petrosino ci ha detto molto chiaramente che l’altro o lo accogliamo o lo distruggiamo, la via intermedia della superficialità non ci permette di essere a “immagine e somiglianza di Dio”, avendo dentro di noi in modo innato questa spinta a relazionarci con l’altro anche se ci richiede fatica, e questa forse è l’unica grazia possibile, perché se stiamo nella superficialità non ci relazioniamo quindi ci distruggiamo, infatti anche l’Innominato, citando Manzoni, fa fatica a vivere nel suo assoluto mondo egocentrico e onnipotente.

Tutti i relatori ci hanno aiutato a scoprire che la radice delle derive non è banalmente proiettabile fuori di noi, ma è dentro di noi e poi gli stessi relatori ci hanno indicato la sapienza per superare queste difficoltà.

La Virgili ci ha parlato della sapienza che troviamo nella Torah dell’Antico Testamento e di una sapienza che c’è anche nell’abitare sulla terra, perché il vivere ci porta a scoprire che c’è una sapienza in tutte le cose, che ci costringe ad allearci anche se noi recalcitriamo.

Nicolini ci ha parlato di un agire interstiziale, di amore piccolo, di cose piccole, cose che per un credente diventano tutte occasioni per fare alleanze.

Attraverso piccole cose è riuscito a innovare anche grandemente la realtà in cui ha agito come se lui sapesse, essendo un uomo a immagine e somiglianza di Dio forse più di qualcuno di noi, “leggere” il mondo, abitare il mondo come l’ha abitato il Figlio dell’uomo, cioè trovando occasioni di alleanze e coinvolgimento nella vita reale riconoscendo anche inevitabilmente i propri limiti, il proprio peccato nella incapacità di accettare l’alterità e soprattutto nella ricostruzione della relazione.

Petrosino, poi, con apparente pessimismo ha spiegato con una lucida analisi che è possibile esistere senza “mangiarsi l’altro” e coltivare, custodire ciò che non è costruibile da noi, ne discende allora il valore del riconoscimento e del rispetto dell’alterità in senso lato, quindi è una possibilità reale per l’uomo non distruggere anche se ha subito: questa è una possibilità faticosa e laboriosa che richiede però a ognuno di noi di agire su se stessi. Quando tutte le cose vanno bene forse non abbiamo incontrato le alterità e non stiamo facendo alleanze, ma siamo in una situazione di mancata interlocuzione e di mancata costruzione di patti comuni, quindi stiamo dominando.

A conclusione non dobbiamo essere bloccati dalle nostre frustrazioni, dal nostro tu minore e non a caso i nostri relatori hanno citato il Deuteronomio quando dice “Scegli… la vita… e vivi”.

 

Abitare la terra con una postura relazionale: lo stile di Gesù, lo stile del credente. Frate Enzo Banchi.

E’ un tema complesso, che rimanda innanzitutto a come nasce la fede. Dice San Paolo “fides ex audito”, la fede nasce dall’ascolto, chi ascolta crea una comunione, una relazione.

Dice Bianchi che credere nei dogmi, nelle formule non vuol dire fede, la fede è una adesione, una adesione a un vivente, a una persona, non a una dottrina.

Siamo in un periodo di migrazione, abbiamo lasciato una sponda, ma non vediamo l’altra; anche il Cristianesimo, la nostra fede stanno migrando. Stiamo vivendo una crisi antropologica, economica, sociale, religiosa, siamo in mezzo al guado, e (come diceva Gramsci) quando sta per finire un mondo e l’altro non è ancora definito, in quel tragitto emergono i mostri e i fantasmi. Il problema è tenere la rotta guardando insieme agli altri, Gesù. La fede prima è orizzontale dall’io al noi, e insieme verso Dio. Non c’è il dio di Abramo, di Isacco, di me o di te, c’è il Dio del padre nostro, ci siamo noi, la nostra comunità.

Tutti siamo chiamati a essere testimoni, testimone non è chi parla, ma chi vive una realtà, la testimonianza non sono le parole, è la vita, il fare. La Chiesa non deve fare dei militanti, ma dei discepoli; discepolo è colui che non fa proselitismo, ma vive il Vangelo e provoca le coscienze con il suo esempio e se interrogato, parla.

La luce della città sul monte non fa nulla per farsi vedere, ma è vista. Il sale nell’acqua scompare; tutto si gioca su una visibilità non cercata. Non ci salverà la religione, ma il nostro agire umano. Non saremo giudicati per la fede che avevamo, ma per avere sfamato, dissetato, accolto lo straniero. Cosi come non saremo dannati per i peccati di debolezza, ma per quelli di omissione, di egoismo, di non umanità. La straordinarietà di Gesù non era la sua religiosità, ma la sua umanità.

Ma noi cristiani sappiamo essere cittadini del mondo?

Già i primi cristiani capirono che l’istituzione romana era fondamentale per la sopravvivenza della comunità, con il limite però che il potere non fosse totalitario, ma sapesse fare scaturire la fraternità, l’uguaglianza e la libertà. Una triade già presente negli scritti dei padri della Chiesa dei II-III secolo d.C.

Il Cristianesimo oggi nella sua edizione umana e feriale, dice Bianchi, è l’agire quotidiano, è un cammino di umanizzazione, Dio si è fatto uomo perché l’uomo fosse ancora più uomo; la parola di Dio e i sacramenti non sono la ragione di vita, ma un aiuto alla vita.

In questo momento di crisi, di trapasso, di mutamenti vorticosi dove tutto sta cambiando, il cristiano ha la netta sensazione di sentirsi minoranza, in mezzo a una moltitudine di indifferenti. Fino a qualche decennio fa eravamo abituati alle contrapposizioni: comunisti contro democristiani, credenti contro atei; non è più così e relazionarsi con un indifferente è difficile.

Diventa allora fondamentale interagire con gli altri in maniera umana, non religiosa; parlare della fede non in termini dogmatici, ma decodificare i concetti della fede in concetti antropologici, spiegare la nostra fede non con i dogmi ma con ragioni antropologiche, che sono quelle che valgono nell’agorà.

Esempio: il riposo festivo va spiegato anche come uno stop all’alienazione del lavoro, alla possibilità di incontro; il problema dell’eutanasia va affrontato in termini umani non invocando dogmi o principi religiosi non condivisi. Ogni tema umano va affrontato prima eticamente.

Le Acli nella società possono fare questo lavoro profondo, le Acli occupano una posizione strategica: sparsi sul territorio, a contatto con tante realtà sociali, cominciando dal lavoro. Veramente possono incidere facendo formazione, contribuire a ricreare le coscienze e dare una maggiore capacità di visione dei problemi che ci circondano, cercando nel vangelo le spiegazioni che servono.

Non ci salverà la Chiesa, che come dice Benedetto XVI è il maggiore ostacolo alla fede, ma il Vangelo e Gesù Cristo; tutti hanno rispetto per Gesù, tutti gli riconoscono l’umanità, tutti sentono che ha un messaggio che mette in crisi gli atei stessi.

Questo è il segno che bisogna tornare ai Vangeli, al Figlio dell’Uomo, che è poi l’unico titolo che Cristo si è dato per sé.  Da Cristo a Dio poi alla Chiesa.

Lo stile di Gesù sia lo stile del cristiano, e lo stile non è la moda ma è l’uomo: l’uomo che ama, che accarezza, che ascolta.

 

DIBATTITO SUCCESSIVO ALLA RELAZIONE DI FRATE ENZO BIANCHI.

Accenno le domande e cerco di sintetizzare le risposte di Enzo Bianchi.

Dove va la Chiesa?

Siamo in mezzo a un guado, la Chiesa si presenta in maniera multiforme e contraddittoria. Forse solo il 20% dei vescovi segue il papa, buona parte del suo entourage gli è contraria in modi più o meno subdoli, ricordate il questionario propedeutico al Sinodo, solo il 30% delle diocesi ha risposto.

Papa Francesco non è diplomatico, parla semplice e diretto, un vero uomo del Vangelo.

Il futuro della Chiesa è molto cupo, preti stanno scomparendo, avremo forse un futuro senza il ministero dei sacramenti e ciò sarebbe molto grave. Il popolo cristiano non è pronto a nulla e non pensa a nulla.  La Chiesa è come un grande cantiere aperto e papa Francesco ci sta lavorando, speriamo e preghiamo.

I cristiani in politica?

Quando si dialoga nell’“agorà” il linguaggio sia antropologico, la terminologia e soprattutto le idee siano antropologiche, poi alla fine prevalga la coscienza, fino all’obiezione di coscienza come fecero i primi cristiani e martiri. Siano però cristiani formati ed eloquenti, in grado di decodificare il Vangelo in chiave antropologica, e parlare delle cose del mondo senza integralismi.

Vivere in una società multiculturale e multiforme?

E’ una sfida che si vince ascoltando, ascoltando e intrecciando relazioni. Manca l’ascolto, anche nel quotidiano, dentro le famiglie non ci sono più spazi per l’ascolto e il dialogo. Ci stiamo imbarbarendo. L’argine a tutto ciò sono le relazioni, ma non quelle di consumo, cioè le relazioni che intreccio per mio tornaconto, ma relazioni che abbiano alla base la scoperta di un altro, e così arrivare a un senso di appartenenza a una comunità, a una associazione. Sul concetto di appartenenza sarebbe opportuno fermarsi e fare discernimento.

Quale stile deve avere il cristiano oggi?

La sfida del cristiano oggi è riscoprire la propria coscienza (la coscienza come dice il Concilio Vaticano II è il santuario inviolabile di ogni individuo), e fare discernimento.  Abbiamo però bisogno di formatori di coscienze, di persone preparate che ci aiutino a ben usare la propria coscienza, ad ascoltare e darsi il tempo per interrogarsi.

 

INTERVENTO del PRESIDENTE nazionale ACLI ROBERTO ROSSINI

Roberto Rossini ha parlato di un movimento che ha uno sguardo rivolto alla sua storia passata, una storia con alti e bassi, a volte lontana o vicina alla politica, ma pur sempre intrisa di relazioni e alleanze. Rifacendosi al Vangelo le Acli sono come il sale che si scioglie e scompare, ma nel contempo contamina tanti altri soggetti o gruppi e ne feconda le esperienze.

I nostri territori sono il nostro sale.

Qualcuno parla di un’Acli con identità debole, forse ha ragione, pur tuttavia è proprio questa debolezza e duttilità che ha consentito al nostro movimento di non essere mai stato scalato e di sciogliersi come sale in tante altre esperienze.

Nostro compito è contribuire a un mondo un po’ più giusto, non in maniera muscolare o eclatante, ma in maniera enzimatica. Ci facciamo contaminare, ma allo stesso modo contaminiamo, questa è alleanza e relazione.

Si parla oggi su tutti i giornali delle post-verità: giornali, politici, movimenti tutti vogliono sentirsi vittima di qualcuno o qualcosa, ormai si fa politica sul vittimismo, la teoria del complotto è semplice e paga sempre. In un incontro con Laura Boldrini, presidente della Camera dei deputati, ci veniva riferito che operano siti pagati per dire falsità, o verità manipolate, ben consapevoli che se anche la notizia è falsa, gli effetti che produce sono veri e reali.

Questo per portarci al problema di oggi: non riusciamo più a capire o vedere la realtà, la realtà che in fondo altro non è che il nostro prossimo, è difficile da capire, richiede fatica, ci mette in crisi. E qui ricorda l’esempio dell’Innominato di fronte a Lucia.

Se anche papa Francesco dice che oggi la realtà deve venire prima delle idee, allora il compito formativo è educare i giovani alla realtà; spiegare loro e a noi che non c’è una realtà sbagliata, la realtà è quello che è, semmai esiste un approccio educativo sbagliato.

Ci siamo mai chiesti per quale progetto individuale e collettivo doniamo la nostra vita? Esiste oggi un progetto collettivo?

Compito della politica, e in assenza di essa dei corpi intermedi, è dare oggi un progetto collettivo, nazionale ed europeo, in cui si riconoscano il progetto generale di ognuno di noi.

È perciò fondamentale, attraverso i circoli e i nostri servizi, ascoltare e dialogare con la società per contribuire a una grande visione. In un momento di forte transizione, dobbiamo ancorarci al popolo, alla terra, agli ultimi. I temi del lavoro, della scuola, dei giovani devono essere il nostro pane.

Conclude il presidente chiedendo 4 impegni: leggere il Vangelo e pregare tutti i giorni, i circoli facciano formazione sui grandi temi etici e sociali, chiedere alle parrocchie la scuola della parola e assieme alla comunità fare formazione biblica. Infine re-innamoriamoci della nostra missione: a livello provinciale fare un Consiglio ad hoc su come ricominciare a parlare ai lavoratori della nostra associazione, dei nostri ideali, del nostro credo; semplicemente parlando di lavoro, di politica, di fatti.